Ho capito che non si cambia veramente mai, non c’è modo di cambiare, come si è da piccoli si è tutta la vita, non è per cambiare che si ricomincia da capo.
Si ricomincia da capo per cambiare tavolo, disse.
Si ha sempre questa idea di essere capitati nella partita sbagliata, e che con le nostre carte chissà cosa saremmo riusciti a fare se solo ci sedevamo a un altro tavolo da gioco…

Tre volte all’alba, Alessandro Baricco

venerdì 29 giugno 2012

Notte


Di giorno questa città pullula di ombre, di notte le ombre liberano il buio.

Lampioni malefici accecano le tristi stelle, nell'indignazione della luna.

Quattro barboni stanno davanti ad un bidone infuocato come se chiedessero generosità all'inferno.

Un ebreo s'attarda a chiudere la sua bottega.

Due mascalzoni armati di coltelli inseguono una fanciulla sperduta. Il gatto nero, sul davanzale di una finestra, l'avvisa del pericolo con un miagolio isterico, ma lei non lo sente. Le sue urla si confondono con quelle della sirena di una macchina della polizia che sfreccia sulla Grand Avenue.

Il sindaco si affaccia alla finestra del suo lussuoso ufficio e osserva la sua città: si compiace dei palazzi claustrofobici costruiti senza problemi giudiziari, dei parcheggi costruiti sopra ai parco giochi pensando che i bambini avrebbero confuso i due nomi, dei centri commerciali costruiti al posto di scuole. Dalla porta del suo ufficio vengono tre battiti delicati. Finalmente la sua donatrice di piacere è arrivata. Apre la porta e si ritrova una pistola con silenziatore puntata al pomo d'Adamo. La donna, in minigonna e camicetta trasparente, preme la pistola contro il collo del politico costringendolo a indietreggiare. L'esile dito schiaccia il grilletto e uno spruzzo di sangue, come da uno sfiatatoio, macchia l'arrogante ritratto appeso al muro retrostante. Scappa la ragazza tra le risate della luna.

Corre la volante sulla Grand Avenue urlando luci rosse e blu. Insegue un'auto nera, carica di carne e piombo, che sputa pallottole e polvere bianca. Folli cocainomani alla guida, povere creature dalla triste sorte, non sanno di essere già cadaveri. Fuggono, tra il traffico di vite squallide, in una scia nera che non si può fermare, che niente può fermare, niente tranne un camion che sta attraversando un incrocio. L’impatto è così violento da far alzare in volo una nube di piccioni appestati. Latta e sangue sull'asfalto. Arriva la macchina della polizia a colorare la morte. Ora rosso, ora blu è il volto spappolato dei cinque corpi senza vita.

Un ratto scappa in una fogna con qualcosa in bocca. Un riflesso rivela l’unghia di un dito.

Da un pub proviene un blues malinconico e le grida di una rissa. La sensuale voce di una cantante si riversa sulla strada insieme ai frantumi di una finestra.

L’ebreo cammina per il marciapiede stringendosi il cappotto al petto. Un lezzo di sfortuna precede quattro figure tristi, quattro straccioni che cercano cartacce per alimentare il loro fuoco. L’ebreo fa finta di non vederli, gira lo sguardo e passa oltre indifferente. Uno dei quattro lo raggiunge e lo tira per una manica chiedendogli qualche spicciolo. L’ebreo si divincola e procede il suo cammino verso casa, ma dopo qualche passo è attorniato da tutti e quattro i barboni che gli chiedono elemosina. Si stringono attorno a lui e lo supplicano con strani e diversi accenti. Il loro alito è acre, i loro vestiti sono impregnati dell’odore della città, i loro occhi racchiudono la notte. L’ebreo terrorizzato estrae una pistola, vecchia e arrugginita, e inizia a sparare in preda all’agitazione. Ne ferisce due e scappa urlando qualcosa in yiddish.

Il muso del ratto annusa il fetore urbano in cerca di pericoli, poi l'animaletto sbuca sul marciapiede. Non fa in tempo a correre nel cassonetto che il gatto nero, con un balzo, lo ha già afferrato e ne sgranocchia il cranio, tra i denti gialli e la lingua ruvida, facendo le fusa.

La porta secondaria del pub si apre, illuminando il vicolo oscuro. Escono tre uomini che trascinano dei vestiti con dentro una persona. Si tratta di un ragazzo sui vent'anni. I tre lo gettano a terra e iniziano a picchiarlo con pugni, calci, mazze e catene. L'indifeso cerca di rialzarsi, ma più ci prova più viene schiacciato al suolo.

I lampioni, invidiosi della luce del sole che nasce ad est, si spengono uno dopo l’altro.

La luna ha fatto grasse risate stanotte e ora lascia il posto al sole, la cui arte è di rinchiudere la notte nelle ombre degli uomini.

giovedì 28 giugno 2012

Sconpiglio/Mi rifugio dentro

SCOMPIGLIO

Scompiglio
l'ordine dei giorni
Disordinandoli
Senza domani
Ne ieri
Cristallizzo
Oggi diversi
In sequenze
Parallele ai battiti
Di sogni smarriti
Su piatti
Freddi e vuoti
Abbandonati su tavole
Come briciole di pasti finiti


MI FRUGO DENTRO

Mi frugo dentro, frugale
Alla ricerca di nuovi spazi da decomporre
In cui occorre comporre versi
Nuovi e di versi
Istinti sommersi, sopiti
Casualmente colpiti
Si svegliano infuriati e delusi
Dal non trovar preda
da divorare e trasformare
In flusso di parole scomposte
Relativamente indisposte
Ma industriose nel costruire paesaggi
Con assaggi, bocconi masticati
Di sentimenti usati e deragliati


ANDREA LIONELLI


mercoledì 27 giugno 2012

Il sole tramonta
dietro al mare
e alla terra stessa
lascia lo sguardo
annoiato
sulle pene degli uomini
incrocia le braccia
le sopracciglia aggrotta
stanco di donare
la sua estate
sfugge al cieco
indifferente
che affonda nella notte.



Non ha voce il poeta
non dà spettacolo
anonimo il suo nome
nella brace si consuma
Sempre in ombra,accorto
apre un fiore a una farfalla
libera parole dalla mani
magra melodia
per chiunque ascolta.


RAFFAELE DI PALMA



martedì 26 giugno 2012

Una metafora allegra con sottofondo di amara verità.
Vita dura per la miriade di nuovi autori che sono diventati solo una voce di bilancio per le Case Editrici, non per il successo delle proprie opere, come sarebbe normale fosse ma perchè le mantengono in vita finanziando il proprio intelletto.
Ingenuità, lusinga, o tutt'e due?
Non importa. Per molti Editori non fa differenza. Quello che conta è che aprino il portafogli.

Personaggi e Interpreti.

L'Editore: Titina De Filippo.
L'agente letterario: Totò.
L'autore esordiente: Peppino De Filippo.

Buona visione

PRIMA O POI

“Ti ho cercato tutta la notte, dove sei stata?” chiedo piano.
È seduta per terra con la schiena contro il muretto, le gambe lunghe sull’erba. Tra le dita stringe una bottiglia di birra ancora mezza piena. Al suo fianco ce ne sono altre tre vuote.
Ha il viso stravolto e gonfio, un livido violaceo sulla guancia, del sangue raggrumato al lato della bocca, un taglio sul labbro inferiore.
“In giro” risponde tenendo gli occhi chiusi. “Una bella nottata, saresti dovuto venire con me”
“E’ stato tuo padre?”
“Ho sbattuto contro un armadio” risponde serenamente.
“Un armadio con un pugno d’acciaio?”
Ridacchia. “Si più o meno”
“Aveva bevuto?” chiedo tra i denti.
“Gli armadi non bevono”
Mi lascio andare ad un lungo ed esasperato sospiro.
“Che fai qui?” siedo al suo fianco. Faccio piano quasi per non farmi sentire. È stupido forse, ma ho paura di spaventarla.
Chissà perché ha più paura di me che di quella bestia di suo padre.
“Mi riscaldo”
“Hai freddo?” domando in silenzio, lei non apre gli occhi, ma continua a tenere il viso rivolto verso il sole. “Ti ho portato un maglioncino” le porgo la maglietta che ho preso dal cassetto quando l’ho vista correre via, come una furia, lontano da casa. L’ho inseguita, ma voltato l’angolo, lei non c’era più: Dio solo conosce i nascondigli di questa ragazza.
Prende il maglioncino tra le mani e lo poggia sulle ginocchia nude.
“Ti ringrazio, ma ho solo bisogno di scaldarmi”
“Ti devi abbronzare?” insisto cercando di farla sorridere. Sorridere davvero. Vorrei non dover vedere più sorrisi amari sul suo volto.
“E’ più di un’abbronzatura” mi risponde paziente “sto cercando di scaldarmi”.
Rimango per un attimo in silenzio. “Mi dispiace” riesco a dire infine.
“Non puoi farci niente” risponde un po’ dura. “Lui non lo fa di proposito. È molto solo” sospira e per un attimo spero che continui a parlare che mi dica qualcosa, qualunque cosa.
Io rimango deluso e lei in silenzio.
“Ti porterà via l’anima prima o poi” le dico scuotendo la testa contrariato e sempre più furioso.
“Prima o poi le cose si sistemeranno”
“Quando?” incalzo
“Prima o poi, ho detto”
Annuisco piano.
“Scusami” sbotta all’improvviso “ho bisogno di stare da sola”
“Vieni a stare a casa con noi” dico ignorandola. Io non la lascerò mai da sola.
“Lui ha bisogno di me, io non me ne vado, prima o poi guarirà” è sicura di questo, ne è certa. E io lo trovo pazzesco.
“Una clinica potrebbe guarirlo”
Io posso guarirlo” per la prima volta da quando sono qui si volta a guardarmi. È uno sguardo duro e mi da i brividi “lui mi ama, ma pensa di amare molto di più la sua bottiglia” fa una pausa e respira profondamente come per prendere coraggio “deve solo capire che ama più me di lei”
“Andiamo via di qui, ti offro un gelato” azzardo offrendole la mia mano. La guarda e torna a poggiare la testa al muretto, chiudendo gli occhi.
Siamo amici da una vita, eppure più passano gli anni, più lei si chiude nella sua corazza e mi allontana, mettendomi fuori dal suo mondo.
“Quando vengo qui e cerco di scaldarmi è perché a casa fa freddo, un freddo polare che mi prende fino alle ossa” spiga parlando lentamente, “invece qui c’è il sole e ci sono io. Nulla può andare storto” porta la bottiglia alle labbra, prende una lunga sorsata, poi, una volta svuotata, la affianca ordinatamente alle altre tre.

La guardo preoccupato, ma non dico nulla. “Non temere, non diventerò come lui” promette con tono piatto.
Non rispondo.
“Vedrai, un giorno papà sarà abbastanza sobrio da accettare di venire qui con me, e allora chiuderà gli occhi e andrà tutto bene”
Scoppio a ridere, ma lei non sembra risentita.
“Io vedo le cose da un diverso punto di vista. La vita così mi sembra più semplice e le botte fanno meno male” assicura. “Tu ora, forse, senti solo il vociare dei bambini o le macchine per strada, ma non c’è solo quello, io chiudo gli occhi e immagino il mare, il rumore delle onde e lascio che il sole mi scaldi… e un giorno mio padre verrà qui con me da sobrio e vedrà le cose da un altro punto di vista”
Casualmente trovo la sua mano e la stringo, rimango in silenzio al suo fianco finché non tramonta il sole.

lunedì 25 giugno 2012

Uniti dalla stessa passione.

Una leggenda racconta che un monaco propose a un sovrano indù un gioco che aveva inventato: gli scacchi.
Il re, compiaciuto, chiese come poteva ricompensarlo. La risposta fu: “Voglio solo un chicco di grano per la prima casella della scacchiera, due per la seconda, quattro per la terza, otto per la quarta e così via”.
Il sovrano, meravigliato da quella modesta richiesta, acconsentì.
Il giorno dopo i matematici di corte lo informarono che per adempiere alla richiesta del monaco non sarebbero bastati i raccolti di tutto il regno per ottocento anni (il risultato è 2 elevato alla 63° potenza).
Il re comprese due cose: che una richiesta apparentemente modesta può nascondere un risultato enorme e che non esiste un modo di vincere qualunque battaglia senza sacrificare alcuni pezzi.

Questo principio è la base del Multi-level Marketing o marketing piramidale.
Se ognuno degli iscritti al Gruppo si occupasse di pubblicizzare non solo il proprio lavoro ma tutto il Gruppo, aumenterebbe in modo esponenziale il numero dei visitatori. Il beneficio sarebbe indiscusso per tutti. Milioni di potenziali lettori consentirebbero a qualcuno di emergere, per qualità, presentazione più accattivante o anche semplice fortuna.
Gli altri comprenderebbero che è inutile attendere un colpo della dea bendata e magari cercherebbero di modificare qualcosa, fosse anche solo la copertina, per rendere il proprio prodotto più interessante.

LettoriAutori

domenica 24 giugno 2012

Mythos


In tutti questi anni ho sempre sentito la tua presenza. Non ti ho mai invitata ma tu sei sempre stata accanto a me, non ho potuto scacciarti e ho dovuto sopportare continuamente la tua impalpabile ma lugubre presenza. Sapevo che correvi contro di me fin da quando ero un imberbe ragazzino ma non ti ho mai fatta vincere. Ho battuto tutto e tutti, speravi davvero che non riuscissi a battere anche te?
Illusa!
Ho scelto io questa vita. Nessuno me l’ha imposta. L’ho voluta da sempre. Con la mia tenacia l’ho strappata al mondo immaginario e l’ho resa reale, vera, fantastica e incredibile tanto da sembrare una sorta di mitologia moderna.
Tu hai sempre provato a sconfiggermi, e alcune volte ci sei andata molto vicino, non sei mai riuscita, però, a tagliare il traguardo prima di me. È inutile che sottolinei che a quello più importante mi precederai, so bene che quella sarà la mia ultima corsa! Quel giorno non potrò oppormi e sarò costretto a cederti il passo ma la tua non sarà una vittoria leale.
Sono talmente abituato a te che quando non ti ho più avuto al mio fianco mi sono sentito solo, perso, inutile. Non riuscivo a vivere senza emozioni e ho sofferto tremendamente a non provare più quei brividi gelidi che correvano lungo la mia schiena. Mi è mancata la scarica di adrenalina che solo tu eri in grado di provocarmi e non ho resistito. Dovevo ritornare. Sono tornato!
Per farlo ho dovuto cambiare compagna. Non c’era più il feeling di una volta, non riuscivamo più a comprenderci, e poi lei ormai aveva un altro. Lo so che con la rossa eravamo una splendida coppia, lei era e rimane pur sempre la più bella, la più affascinante. La nuova partner tuttavia è sempre stata nei miei sogni. Fin da ragazzo il mio cuore è stato trafitto dalle sue frecce d’argento e finalmente sono riuscito a unirmi a lei. Qualcuno forse dirà che è un po’ tardi ma non importa, anche se sono ingrigito, la comprendo bene, parlo la sua stessa lingua e ho solo bisogno di un po’ di tempo per abituarmi, per prendere confidenza con le sue reazioni e per fidarmi totalmente.
La mia è una stella ancora capace di brillare e anche quando giungerà il momento in cui riuscirai a vincere la tua unica gara… ti batterò di nuovo e sai perché?
Perché io sono leggenda!

LA NEVE NON C'E'

                                                                                                                                  A Carlo

“Posso?” chiesi con voce bassa, non ero sicura mi avesse sentito. “Ti ho comprato degli altri colori”.
Avanzai di un passo.
Il bambino, curvo sulla scrivania, stringeva una matita colorata in mano. Non si muoveva e guardava dritto, fuori dalla finestra.
Mi avvicinai. Piano. Posai la busta per terra e sbirciai il foglio ancora bianco, pulito, immacolato.
“La neve non c’è” sussurrò piano. Con una mano sfiorai la sua spalla, poi gli accarezzai i capelli.
“Posso sedermi accanto a te?”.
Non rispose. Tutto ciò che feci fu accovacciarmi al suo fianco.
“E’ il giorno di Natale, perché non nevica? Ogni Natale dovrebbe nevicare, non sarebbe Natale senza neve”
“Lo so”, risposi mordendomi il labbro inferiore.
“Non abbiamo neanche un camino” obiettò.
“No, non ce l’abbiamo”
“E Babbo Natale da dove scende?”
“Che ne dici se lasciamo la finestra aperta?”
Ii suoi capelli erano morbidi e lisci, continuai ad accarezzarglieli combattendo contro la voglia di abbracciarlo.
“Non sarà come il camino, ma dovrebbe funzionare, no?”
“Mamma che avrebbe detto?”
Sospirai. “Direbbe che va bene”
“Ok” annuì con convinzione. “Non facciamo il cenone, zia?”
“No, tesoro, no”.
Non chiese spiegazioni. “
Sei un bravo bambino lo sai?”.
Mi alzai e mi misi alle sue spalle, poi mi abbassai un po’ per baciargli la testa.
“Disegni con me?”.
Rimasi sorpresa. Non per la richiesta in sé, ma per quello che avrebbe comportato. Mia sorella e suo figlio non disegnavano semplicemente uno di fianco all’altro: erano due mani, una matita, un solo movimento. E io non ero certo all’altezza di una magia del genere.
“Ti insegno io come si fa” mi rassicurò “è facile, devi prendere la matita in mano, poi ti aiuto io”.
Non so bene perché, ma mi salirono le lacrime agli occhi.
  “Come vuoi” balbettai.
  Con un saltellò, scese dalla sedia e mi invitò a sedere al suo posto con un cenno della testa.
Si mise a sedere sulle mie ginocchia e dopo aver scelto un colore, me lo porse.
Le mie mani tremanti si calmarono quando le manine di mio nipote si strinsero attorno alle mie dita. Cominciammo a disegnare mano sulla mano.
In tutta la mia vita non avevo mai fatto una cosa così. Non ero un’artista, né avevo mai amato il disegno artistico, eppure chiusi gli occhi e lasciai che la sua mano mi accompagnasse nel disegno. E così continuammo.
“Ti piace la neve, zia?” mi chiese.
“Si, molto”
“Perché?”
“Perché non fa rumore”
Le nostre mani andavano su e giù per il foglio.
 Non potevo esserne sicura, ma con tutta probabilità stavamo disegnando la mia casa. E forse, un fiocco di neve.

FOTOGRAFIA


Una fotografia.
Sembrava una fotografia, il nostro amore.
Scattata quasi casualmente durante un temporale d’agosto. Ma la macchina fotografica doveva aver imbarcato acqua e aveva restituito un’immagine indefinita. Quella fotografia sfuocata di due amanti fradici sotto ad un ombrello rotto, fu la prima ad essere scaraventata dal ponte. Si librò verso il fiume con la delicatezza di un ricordo che svanisce.
Girai la prima pagina dell’album e scelsi un’altra vittima.
“Ti sto uccidendo, lentamente” pensai, mentre estraevo la foto dal suo sarcofago di plastica.
Il suo stupido cane aveva sbavato molti ricordi felici, ora sarebbe annegato. Accartocciai la foto e la scaraventai con foga verso l’acqua.
Ne scelsi un’altra ancora. Questa volta a volare fu quello stronzo di suo padre, che ebbe il coraggio di criticare l’anello di fidanzamento che avevo scelto. “Tutto qui?” mi disse, maledetto avaro.
Foto dopo foto, mi sentivo sempre più leggero, più libero dalla sua ossessiva presenza.
E nonostante questo una tensione si faceva strada nel mio petto. Per contrastarla strappai un’intera pagina e la gettai di sotto. Non vidi neppure quali ricordi avevo eliminato.
Non bastò, ne lacerai un’altra e mi sentii lacerato a mia volta.
Da qualche parte avrei trovato la foto in cui mi tradisce.
Perché non riuscivo a liberarmi di lei? Lei l’aveva fatto! Mi aveva cancellato dalla sua vita, quando aveva deciso di cancellare sé stessa.
Aveva preferito la morte a me. Perché? Perché mi aveva tradito così?
Chiusi l’album e sentii come uno schiaffo. Lo alzai sopra la testa con entrambe le mani e lo lanciai oltre la barriera metallica.
Toccò l’acqua con un doloroso tonfo. E sparì, com’era scomparsa lei.
Ora toccava a me, scomparire. Guardai un’ultima volta l’acqua e lasciai il ponte.

UN NUOVO INIZIO

Ci abbiamo messo un pò per ritrovarci, ma ancora una volta, abbiamo superato la distanza, il tempo, le assenze...
la frase proprio sopra a questo post non è stata scelta a caso,
il titolo da cui è tratta è 'Tre Volte l'Alba'...per noi questo è la terza alba

'non è per cambiare che si ricomincia da capo'

ci stiamo sedendo a questo nuovo tavolo da gioco per mescolare le nostre carte e per rimettere insieme un puzzle che non ne vuole sapere di perdere altri pezzi...

Bentornati a casa